Alberto Granado e Maria Giulia Alemanno, il gitano e la pittrice

Alberto Granado conversa con il giornalista e scrittore Alessandro Cappai a Crescentino (Vercelli) nel settembre 2006 – Foto di Fabrizia Scapinello ©

Il compagno del Che insieme a Lella Alemanno a Crescentino

IL GITANO E LA PITTRICE

Lo Sguardo di Granado

Alessandro Cappai

in La Nuova Periferia,  20 settembre 2006

Alberto Granado ha oltre ottanta anni. La sua vita è segnata su un volto pieno di rughe che indica anni e chilometri percorsi da un piccolo uomo a cavallo tra la storia e il mito, in bilico sul tropico, a spasso nella rivoluzione. Quei segni indicano, come i cerchi nel tronco della sequoia, che il tempo, passando, sposta in avanti l’esperienza e fa crescere. Aumenta così il volume della memoria e si sente più forte (e vicino) il respiro di Cuba e di una motocicletta, compagna di viaggio del giovane Alberto e di Ernesto. Di questo ritratto della rivoluzione da giovane rimangono i racconti.
La memoria, ora, è un orizzonte piatto tra le risaie e il Po. Alberto Granado siede nel salotto di casa Alemanno a Crescentino. Alberto Granado è così acuto e coraggioso che non si vuole cullare nel mito e abbandonarsi al sogno. A ottant’anni ha troppa vita davanti per voltarsi e basta.
E’ arrivato dopo aver incontrato Maria Giulia – Lella (Alemanno) alla
Casa de Africa a l’Avana, quando la pittrice ha esposto le sue opere sulla Santeria.
Lui è l’investigatore, il tranquillo, lo zingaro. Questa era l’importanza che, chiamandolo, gli concedeva
Ernesto (Che Guevara).
“Per lui ero il gitano sedentario”
ricorda Granado, nell’unica concessione che vuole fare al passato.
Guarda fuori. Ha trascorso tutta la sua permanenza crescentinese lungo i campi.
La pianura padana è fertile. Il mais cresce bene. E’ un bel posto, allora, dove vivere”.

E’ un bel luogo dove arrivare.
E quando si arriva è perché, in qualche modo, si è già in viaggio.
“Sono un uomo fortunato. Avrei potuto morire durante lo sbarco a Cuba e invece sono qui con Lella e la sua famiglia. Mi accompagnano mia moglie e i miei figli. Sono un uomo fortunato. Qui mi sento in famiglia”
.
“Mi hanno adottata”
continua Lella Alemanno che guarda questo nonno supplementare con la tenerezza di chi sta per offrire a qualcuno qualcosa da bere. Se poi questo sia stato o sia uno che ha sfiorato il mito, forse, ci si penserà dopo l’ultimo sorso.
“Ci conosciamo da sempre
– continua la pittrice- E da subito abbiamo sentito il bisogno di unire queste due famiglie”.
“E quando un desiderio è forte, allora, non può che realizzarsi”
rimbalza da più lontano la voce di Granado. Il “nonno” ha capito che si sta parlando di questa tappa del percorso. Di dove si sta andando.
“Esiste una specie di magia tra noi. Esiste una specie di magia qui”
continua.
Sarà la Santeria con cui è iniziato tutto. Sarà la vicinanza a una terra che trasforma i semi in frutti, per un prodigio antico da invocare dei e demoni. Ma Alberto continua a passeggiare con il papà di Lella e guarda il Po. Un’altra acqua rispetto al mare delle sue terre. Un’altra acqua, quella del fiume, che lui ha imparato a conoscere nei racconti degli immigrati piemontesi.
“E così mi è capitato di arrivare a Roma nel 1955 e ordinare al tavolo di una trattoria una bagna cauda perché pensavo fosse un piatto tipico italiano”.
Una storia che Alberto ha letto tra le pagine del Cuore di De Amicis. “Un libro che a me piaceva e che Ernesto detestava”. Ma anche a questo servono i compagni di viaggio. Come Ernesto. Come Lella.
“Capita sempre così. E’ durante il viaggio che si sente l’empatia col proprio compagno. Con Ernesto accadeva lo stesso: ci si capiva senza parlare.
Il cammino si apre insieme”.
L’idea stessa della vita, per Alberto, è il viaggio. E come per ogni partenza (o arrivo), il primo gesto è un abbraccio.

Così chiudono Alberto e Lella. Raccontano quell’abbraccio, il primo, al primo incontro. Così è iniziato tutto. Il resto sono racconti di puntate successive.

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Ora che Alberto Granado ha intrapreso il suo viaggio infinito,  Alessandro Cappai ricorda con commozione l’incontro con Mial, come lo chiamava con affetto  il suo grande amico Ernesto,  compagno d’avventura e di scoperta lungo il Sud America, quando ancora  non era ” el Che“.
Il settembre del 2006 era la prima volta che Granado veniva a Crescentino ma già tanto ne aveva sentito parlare nella cucina della sua casa di L’Avana, luogo privilegiato di lunghe conversazioni, sempre aromatizzate da un “trajito de Ron
“.  Io gli raccontavo delle risaie e delle colline sull’altra riva del Po, gli dicevo di mio padre che come lui era esperto di bestiame e di mia madre che cucinava a meraviglia i piatti piemontesi di cui era tanto ghiotto.
Venne con Delia, la moglie, il figlio Alberto e Magali, la nuora. Poi  dalla Svizzera lo raggiunse Alexis, il maggiore dei suoi nipoti, e  arrivarono  di continuo non so quanti amici per abbracciarlo e stargli vicino. Furono giorni intensi, di grande gioia ed allegria per tutti, giorni indimenticabili di cui Alessandro Cappai ben seppe cogliere l’essenza e lo spirito.
Intervistò ancora Alberto a Chivasso nell’ ottobre del 2008  in occasione del Festival Letterario
I Luoghi delle Parole quell’anno dedicato al tema del viaggio: fu  durante un incontro pubblico a  Palazzo Einaudi in una sala gremita di studenti, emozionati e curiosi di ascoltare il racconto del viaggio fantastico che cambiò la vita  di due giovani come loro,  spinti da grandi ideali e da un debordante desiderio di conoscenza.
Alberto ed Alessandro conversarono come vecchi amici , quasi  il loro incontro non fosse che il proseguimento di quello avvenuto la sera di due anni  prima nella vecchia casa  di Crescentino.
Sono certa che  anche a lui, il Gitano Sedentario rimarrà sempre nel cuore insieme alla gioia di aver potuto condividere un tratto, seppur breve,  del suo lungo viaggio terreno, qui nella grande pianura vercellese dai vasti orizzonti e dalle calme sere.

Maria Giulia Alemanno

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